LETTERA ENCICLICA
CARITATE CHRISTI COMPULSI
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
SUL CUORE DI GESÙ
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
SUL CUORE DI GESÙ
Venerabili Fratelli, salute e
Apostolica Benedizione.
La carità di Cristo Ci spinse ad
invitare, con l’Enciclica Nova impendet del 2 ottobre dell’anno scorso,
tutti i figli della Chiesa Cattolica, anzi tutti gli uomini di cuore, a
stringersi in una santa crociata di amore e di soccorso, onde alleviare un poco
le terribili conseguenze della crisi economica in cui si dibatte il genere
umano. E veramente con mirabile e concorde slancio risposero al Nostro appello
la generosità e l’operosità di tutti. Ma il disagio è andato crescendo, il
numero dei disoccupati in quasi tutte le regioni è salito, e di ciò profittano
i partiti sovversivi per la loro propaganda; conseguentemente l’ordine pubblico
è sempre più minacciato, e il pericolo del terrore e dell’anarchia incombe
sempre più gravemente sulla società. In tale stato di cose la stessa carità di
Cristo Ci stimola a rivolgerCi di nuovo a voi, Venerabili Fratelli, ai vostri
fedeli, a tutto il mondo per esortare tutti ad unirsi e ad opporsi con tutte le
forze ai mali che opprimono l’intera umanità e a quelli ancora peggiori che la
minacciano.
I
Se riandiamo con la mente alla
lunga e dolorosa serie di mali che, triste retaggio del peccato, hanno segnato
all’uomo decaduto le tappe del pellegrinaggio terreno, dal diluvio in poi,
difficilmente c’incontriamo in un disagio spirituale e materiale così profondo,
così universale, come quello che ora attraversiamo: anche i più grandi
flagelli, che pure lasciarono tracce indelebili nella vita e nella memoria dei
popoli, si abbattevano ora sopra una nazione, ora sopra l’altra. Ora invece
l’umanità intera è stretta dalla crisi finanziaria ed economica così
tenacemente, che quanto più si agita, tanto più insolubili ne sembrano i lacci;
non vi è popolo, non vi è Stato, non società o famiglia che, in un modo o in un
altro, direttamente o indirettamente, più o meno, non ne senta il contraccolpo.
Quegli stessi, assai pochi di numero, che sembrano avere nelle loro mani,
insieme con le ricchezze più ingenti, le sorti del mondo; quegli stessi
pochissimi uomini che, con le loro speculazioni, sono stati e sono in gran
parte la causa di tanto male, ne sono essi stessi ben sovente le prime e più
clamorose vittime, trascinando con sé nell’abisso le fortune di innumerevoli
altri; verificandosi in modo terribile e per tutto il mondo quanto lo Spirito
Santo aveva già proclamato per i singoli peccatori: « Per quelle cose per le
quali uno pecca, per le medesime è tormentato » [1].
Lacrimevole condizione di cose,
Venerabili Fratelli, che fa gemere il Nostro cuore paterno e Ci fa sentire
sempre più intimamente il bisogno di imitare, secondo la Nostra pochezza, il
sublime sentimento del Cuore SS. di Gesù: « Ho compassione di questa folla
» [2].
Ma ancor più lacrimevole è la radice da cui nasce questa condizione di cose:
poiché, se è sempre vero quello che afferma lo Spirito Santo per bocca di San
Paolo: « Radice di tutti i mali è la cupidigia » [3],
molto più ciò è vero nel caso presente.
E non è forse quella cupidigia
dei beni terreni, che il Poeta pagano chiamava già con giusto sdegno « esecranda
fame dell’oro »; non è forse quel sordido egoismo, che troppo spesso
presiede alle mutue relazioni individuali e sociali; non è insomma la
cupidigia, qualunque ne sia la specie e la forma, quella che ha trascinato il
mondo all’estremo che tutti vediamo e tutti deploriamo? Dalla cupidigia,
infatti, proviene la mutua diffidenza, che inaridisce ogni commercio umano;
dalla cupidigia, l’esosa invidia che fa considerare come proprio danno ogni
vantaggio altrui; dalla cupidigia, il gretto individualismo che tutto ordina e
subordina al proprio vantaggio, senza badare agli altri, anzi conculcando
crudelmente ogni diritto altrui. Di qui il disordine e lo squilibrio ingiusto,
per cui si vedono le ricchezze delle nazioni accumulate nelle mani di
pochissimi privati, che regolano a loro capriccio il mercato mondiale, con
danno immenso delle masse, come abbiamo esposto l’anno scorso nella Nostra
Lettera Enciclica Quadragesimo anno.
Se questo stesso egoismo
(abusando del legittimo amor di patria e spingendo all’esagerazione quel
sentimento di giusto nazionalismo, che il retto ordine della carità cristiana
non solo non disapprova, ma con proprie regole santifica e vivifica) si insinua
nelle relazioni tra popolo e popolo, non vi è eccesso che non sembri
giustificato; e quello che tra individui sarebbe da tutti giudicato
riprovevole, viene considerato ormai come lecito e degno d’encomio se si compie
in nome di tale esagerato nazionalismo. Alla
grande legge dell’amore e della fraternità umana, che abbraccia tutte le genti
e tutti i popoli in una sola famiglia con un solo Padre che sta nei cieli,
subentra l’odio che spinge tutti alla rovina. Nella vita pubblica si calpestano
i sacri princìpi che erano la guida di ogni convivenza sociale; vengono
manomessi i solidi fondamenti del diritto e della fedeltà su cui dovrebbe
basarsi lo Stato; sono violate e chiuse le sorgenti di quelle antiche
tradizioni che nella fede in Dio e nella fedeltà alla sua legge vedevano le
basi più sicure del vero progresso dei popoli.
Approfittando di tanto disagio economico e di tanto disordine morale i
nemici di ogni ordine sociale, si chiamino essi « comunisti » o con
qualunque altro nome — ed è questo il male più tremendo dei nostri tempi —
audacemente si adoperano a rompere ogni freno, a spezzare ogni vincolo di legge
divina o umana, ad ingaggiare apertamente o in segreto la lotta più accanita
contro la religione, contro Dio stesso, svolgendo il diabolico programma di
schiantare dal cuore di tutti, perfino dei bambini, ogni sentimento religioso,
poiché sanno molto bene che, tolta dal cuore dell’umanità la fede in Dio, essi
potranno fare tutto quello che vorranno. E così vediamo oggi quello che mai si
vide nella storia, spiegate cioè al vento senza ritegno le sataniche bandiere
della guerra contro Dio e contro la religione in mezzo a tutti i popoli e in
tutte le parti della terra.
Non mancarono mai gli empi, non mancarono mai neppure i negatori di Dio;
ma erano relativamente pochi, singoli e solitari, e non osavano o non credevano
opportuno svelare troppo apertamente il loro empio pensiero, come pare voglia
insinuare lo stesso ispirato Cantore dei Salmi, quando esclama: « Disse lo
stolto in cuor suo: Dio non c’è » [4]. L’empio, l’ateo, uno
fra la moltitudine, nega Dio, suo Creatore, ma ciò nel segreto del suo cuore.
Oggi invece l’ateismo ha già pervaso larghe masse di popolo; con le sue
organizzazioni si insinua anche nelle scuole popolari, si manifesta nei teatri,
e per diffondersi si vale di proprie pellicole cinematografiche, del
grammofono, della radio; con tipografie proprie stampa opuscoli in tutte le
lingue; promuove speciali esposizioni e pubblici cortei. Ha costituito propri partiti
politici, proprie formazioni economiche e militari. Questo ateismo organizzato
e militante lavora instancabilmente per mezzo dei suoi agitatori con conferenze
e illustrazioni, con tutti i mezzi di propaganda occulta e manifesta in tutte
le classi, in tutte le strade, in ogni sala, dando a questa sua nefasta
operosità l’appoggio morale delle proprie Università e stringendo gl’incauti
tra i vincoli potenti della sua forza organizzatrice. Al vedere tanta operosità
posta al servizio di una causa così iniqua, Ci viene davvero spontaneo alla
mente e al labbro il mesto lamento di Cristo: « I figli di questo mondo sono
nel loro genere più scaltri dei figli della luce » [5].
I capi e gli autori di tutta
questa campagna di ateismo, traendo partito dalla crisi economica attuale, con
dialettica infernale cercano di far credere alle masse affamate che Dio e la
Religione sono la causa di questa universale miseria. La santa Croce del
Signore, simbolo di umiltà e povertà, viene posta insieme con i simboli del
moderno imperialismo, come se la Religione fosse alleata con quelle forze
tenebrose che producono tanti mali in mezzo agli uomini. Così tentano, e non
senza effetto, di congiungere la guerra contro Dio con la lotta per il pane
quotidiano, con il desiderio di possedere un terreno proprio, di avere salari
convenienti, abitazioni decorose, una condizione di vita insomma che convenga
all’uomo. I più legittimi e necessari desideri nonché gl’istinti più brutali,
tutto serve al loro programma antireligioso, come se l’ordine divino stesse in
contraddizione col bene dell’umanità e non né fosse al contrario l’unica sicura
tutela; come se le forze umane con i mezzi della moderna tecnica potessero
combattere le forze divine per introdurre un nuovo e migliore ordinamento di
cose. Orbene, tanti milioni di uomini, credendo di lottare per l’esistenza, si
aggrappano purtroppo a tali teorie con un totale capovolgimento della verità, e
schiamazzano contro Dio e la Religione. Né questi assalti sono solamente
diretti contro la Religione cattolica, ma contro quanti riconoscono ancora Dio
come Creatore del cielo e della terra e come assoluto Signore di tutte le cose.
E le società segrete, che sono sempre pronte ad appoggiare la lotta
contro Dio e contro la Chiesa da qualunque parte venga, non mancano di
rinfocolare sempre più questo odio insano che non può dare né la pace, né la
felicità ad alcuna classe sociale, ma condurrà certamente tutte le nazioni alla
rovina.
Così questa nuova forma di ateismo, mentre scatena i più violenti
istinti dell’uomo, con cinica impudenza proclama che non ci sarà né pace né
benessere sulla terra, finché non sia sradicato l’ultimo avanzo di religione e
non sia soppresso l’ultimo suo rappresentante. Come se con ciò potesse venir
soffocato il mirabile concento, nel quale il creato « canta la gloria di Dio
» [6].
II
Sappiamo molto bene, Venerabili Fratelli, che vani sono tutti questi
sforzi, e che nell’ora da Lui stabilita « si leverà Iddio e si disperderanno
i suoi nemici» [7]; sappiamo che « non
prevarranno le porte dell’inferno » [8]; sappiamo che il nostro
Divin Redentore, come fu di lui predetto, « con la verga della sua bocca
percuoterà la terra e col soffio delle sue labbra darà morte all’empio » [9] e terribile soprattutto
sarà per quegli infelici l’ora in cui cadranno « nelle mani del Dio vivo»
[10]. E questa fiducia
inconcussa nel finale trionfo di Dio e della Chiesa Ci viene, per l’infinita
bontà del Signore, ogni giorno confermata dalla vista consolante dello slancio
generoso di innumerevoli anime verso Dio in tutte le parti del mondo e in tutte
le classi sociali. È davvero un soffio potente dello Spirito Santo quello che
ora passa su tutta la terra, attirando specialmente le anime giovanili ai più
alti ideali cristiani, elevandole al di sopra di ogni rispetto umano,
rendendole pronte ad ogni anche più eroico sacrificio; un soffio divino, che
scuote tutte le anime, anche loro malgrado, e fa sentire un interno travaglio,
una vera sete di Dio, anche a quelle che non osano confessarlo. Anche il Nostro
invito ai laici di partecipare all’apostolato gerarchico nelle file dell’Azione
Cattolica è stato dappertutto docilmente e generosamente accolto; va crescendo
continuamente nelle città e nelle campagne il numero di coloro che con tutte le
forze si adoperano alla propaganda dei princìpi cristiani e alla loro
attuazione pratica anche nella vita pubblica, mentre essi stessi si studiano di
confermare le loro parole con gli esempi della loro vita intemerata.
Ma nondimeno davanti a tanta empietà, a tanta rovina di tutte le più
sante tradizioni, a tanta strage di anime immortali, a tanta offesa della
Divina Maestà, non possiamo, Venerabili Fratelli, non esprimere tutto l’acerbo dolore
che ne proviamo; non possiamo non alzare la Nostra voce, e con tutta l’energia
dell’animo apostolico prendere le difese dei conculcati diritti di Dio e dei
più sacri sentimenti del cuore umano che di Dio ha assoluto bisogno. Tanto più
che queste squadre pervase da spirito diabolico non si contentano di
schiamazzare, ma uniscono tutte le loro forze per eseguire quanto prima i loro
nefasti disegni. Guai
all’umanità se Dio, così vilipeso dalle sue creature, lasciasse, nella sua
giustizia, libero corso a questa fiumana devastatrice e si servisse di essa
come di flagello per castigare il mondo!
È dunque necessario, Venerabili
Fratelli, che instancabilmente ci opponiamo « quale muro per la casa
d’Israele »[11],
unendo anche noi tutte le forze nostre in un’unica e solida schiera compatta
contro le malvage falangi, nemiche di Dio non meno che del genere umano.
Infatti in questa lotta si discute veramente il problema fondamentale
dell’universo e si tratta la più importante decisione proposta alla libertà
umana: per Dio o contro Dio. È questa di nuovo la scelta che deve decidere le
sorti di tutta l’umanità: nella politica, nella finanza, nella moralità, nelle
scienze, nelle arti, nello Stato, nella società civile e domestica, in Oriente
e in Occidente, dappertutto si affaccia questo problema come decisivo per le
conseguenze che ne derivano. Così gli stessi rappresentanti di una concezione
del tutto materialistica del mondo vedono sempre ricomparire davanti a sé la
questione dell’esistenza di Dio che credevano già soppressa per sempre, e sono
sempre costretti a riprenderne la discussione. Noi quindi scongiuriamo nel
Signore, tanto i singoli che le nazioni, a voler deporre, davanti a tali
problemi e in tempo di così accanite lotte vitali per l’umanità, quel gretto
individualismo e basso egoismo che accecano anche le menti più perspicaci e
fanno inaridire anche ogni più nobile iniziativa, per poco che questa esca dai
limiti del ristrettissimo cerchio di piccoli e particolari interessi: si
uniscano tutti anche con gravi sacrifici per salvare se stessi e l’intera
umanità. In tale unione di animi e di forze devono naturalmente essere i primi
coloro che si gloriano del nome cristiano, memori della gloriosa tradizione dei
tempi apostolici, quando « la moltitudine dei credenti formava un sol cuore
e un’anima sola » [12];
ma vi concorrano lealmente e cordialmente anche tutti gli altri che ancora
ammettono un Dio e lo adorano, per allontanare dall’umanità il grande pericolo
che minaccia tutti. Infatti il credere in Dio è il fondamento incrollabile di
ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra; perciò tutti
coloro che non vogliono l’anarchia e il terrore devono energicamente adoperarsi
perché i nemici della religione non raggiungano lo scopo da loro così
apertamente proclamato.
Sappiamo, Venerabili Fratelli,
che in questa lotta per la difesa della religione si devono usare anche tutti i
legittimi mezzi umani che sono a nostra disposizione. Perciò Noi, seguendo le
orme luminose del Nostro Predecessore Leone XIII di s. m., con la Nostra Enciclica Quadragesimo anno abbiamo con tanta energia
sostenuto una più equa ripartizione dei beni della terra e abbiamo indicato i
mezzi più efficaci che dovrebbero ridonare la salute e la forza all’ammalato
corpo sociale e ridare la tranquillità e la pace ai suoi membri doloranti.
Infatti l’irresistibile aspirazione a raggiungere una conveniente felicità
anche sulla terra è posta nel cuore dell’uomo dal Creatore di tutte le cose, e
il Cristianesimo ha sempre riconosciuto e promosso con ogni impegno i giusti
sforzi della vera cultura e del sano progresso per il perfezionamento e lo
sviluppo dell’umanità.
Ma di fronte a questo odio
satanico contro la religione, che ricorda il « mistero d’iniquità » di cui
parla San Paolo [13],
i soli mezzi umani e le provvidenze degli uomini non bastano; e Noi crederemmo,
Venerabili Fratelli, di venir meno al Nostro apostolico ministero se non
volessimo additare all’umanità quei meravigliosi misteri di luce, che soli
nascondono in sé la forza di soggiogare le scatenate potenze delle tenebre.
Quando il Signore, scendendo dagli splendori del Tabor, risanò il giovinetto
malmenato dal demonio, che i discepoli non avevano potuto guarire, all’umile
domanda di essi: « Per qual motivo non lo abbiamo potuto scacciare noi? »,
rispose con le memorande parole: «Questo genere non si scaccia se non con
l’orazione e il digiuno »[14].
Ci pare, Venerabili Fratelli, che queste divine parole si debbano appunto
applicare ai mali dei nostri tempi, che solo « per mezzo della preghiera e
della penitenza » possono essere scongiurati.
Memori dunque della nostra
condizione di esseri essenzialmente limitati e assolutamente dipendenti
dall’Essere supremo, ricorriamo innanzi tutto alla preghiera. Sappiamo per fede
quanta sia la potenza dell’umile, confidente, perseverante preghiera; a nessuna
altra pia opera furono mai annesse dall’Onnipotente Signore così ampie, così
universali, così solenni promesse come alla preghiera: « Chiedete e vi sarà
dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede,
riceve; chi cerca, trova; e a chi bussa sarà aperto » [15].
In verità, in verità vi dico: quanto domanderete al Padre in nome mio, egli
ve lo concederà » [16].
E quale oggetto più degno della
nostra preghiera e più corrispondente alla persona adorabile di Colui che è
l’unico «Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù »[17],
che l’implorare la conservazione in terra della fede nel solo Dio, vivo e vero?
Una tale preghiera porta già in sé una parte del suo esaudimento:
infatti, dove un uomo prega, là egli si unisce con Dio, e per così dire
mantiene già sulla terra l’idea di Dio. L’uomo che prega, con la sua stessa
umile posizione professa davanti al mondo la sua fede nel Creatore e Signore di
tutte le cose; unendosi poi con gli altri in preghiera comune, con ciò stesso
riconosce che non solamente l’individuo, ma anche l’umana società ha un supremo
Signore assoluto sopra di sé.
Quale spettacolo non è mai per il cielo e per la terra la Chiesa che
prega! Da secoli, ininterrottamente, da una mezzanotte all’altra si ripete
sulla terra la divina salmodia dei canti ispirati; non c’è ora del giorno che
non sia santificata dalla sua liturgia speciale; non c’è alcun periodo grande o
piccolo della vita che non abbia un posto nel ringraziamento, nella lode, nella
orazione, nella riparazione della preghiera comune del corpo mistico di Cristo
che è la Chiesa. Così la preghiera stessa assicura la presenza di Dio tra gli
uomini, come lo promise il Divin Redentore: «Dove sono due o tre persone
riunite nel mio nome, io sono in mezzo a loro »[18].
La preghiera toglierà di mezzo, inoltre, la causa stessa delle odierne
difficoltà da Noi sopra accennate, cioè l’insaziabile cupidigia dei beni
terreni. L’uomo che prega guarda in alto, ai beni cioè del cielo che egli
medita e desidera; tutto il suo essere s’immerge nella contemplazione del
mirabile ordine posto da Dio, che non conosce la smania dei successi e non si
perde in futili gare di sempre maggiore velocità; e così quasi da sé si
ristabilirà quell’equilibrio tra il lavoro e il riposo che con grave danno
della vita fisica, economica e morale, manca del tutto all’odierna società. Se
coloro che, per la sovrabbondante produzione industriale, sono caduti nella
disoccupazione e nella povertà, volessero dare il tempo conveniente alla
preghiera, il lavoro e la produzione rientrerebbero ben presto entro i limiti
ragionevoli, e la lotta che ora divide l’umanità in due grandi campi di
combattenti per gl’interessi passeggeri, resterebbe assorbita nella nobile,
pacifica, lotta per l’acquisto dei beni celesti ed eterni.
In tal modo si aprirebbe la via anche alla tanto sospirata pace, come
egregiamente accenna San Paolo là dove congiunge appunto il precetto della
preghiera con i santi desideri della pace e della salute di tutti gli uomini: «
Raccomando dunque prima di tutto che si facciano suppliche, orazioni, voti,
ringraziamenti, per tutti gli uomini; per i re e per tutti coloro che sono al
potere, affinché possiamo trascorrere una vita quieta e tranquilla con tutta
pietà e dignità. Infatti, questa è una cosa bella e gradita al cospetto del
Salvatore Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed
arrivino alla conoscenza della verità » [19]. Per tutti gli uomini
si implori la pace, ma specialmente per coloro che nell’umana società hanno le
gravi responsabilità del governo; come potrebbero essi dare la pace ai loro
popoli, se non l’hanno in se stessi? Ed è precisamente la preghiera quella che,
secondo l’Apostolo, deve apportare il dono della pace: la preghiera che si
rivolge al Padre celeste, che è Padre di tutti gli uomini; la preghiera, che è
l’espressione comune dei sentimenti di famiglia, di quella grande famiglia che
si estende al di là dei confini di qualunque paese e di qualunque continente.
Uomini che in ogni nazione pregano lo stesso Dio per la pace sulla terra
non possono essere insieme i portatori della discordia tra i popoli; uomini che
si rivolgono nella preghiera alla Divina Maestà, non possono fomentare
quell’imperialismo nazionalistico che di ciascun popolo fa il proprio Dio;
uomini che guardano al « Dio della pace e della carità » [20], che a Lui si rivolgono
per mezzo di Cristo, che è « nostra pace » [21], non si acquieteranno
finché finalmente la pace, che il mondo non può dare, discenda dal Datore di ogni
bene sopra « gli uomini di buona volontà » [22].
« Pace a voi » [23]
fu il saluto pasquale del Signore ai suoi Apostoli e primi discepoli; e questo
benedetto saluto da quei primi tempi sino a noi non è mai venuto meno nella
sacra Liturgia della Chiesa, ed oggi più che mai esso deve confortare e
risollevare gli esulcerati ed oppressi cuori umani.
III
Ma alla preghiera bisogna aggiungere anche la penitenza: cioè lo spirito
di penitenza, e la pratica della penitenza cristiana. Così ci insegna il Divin
Maestro, la cui prima predicazione fu appunto la penitenza: «Cominciò Gesù a
predicare e a dire: Fate penitenza » [24]. Così ci insegna pure
tutta la tradizione cristiana, tutta la storia della Chiesa: nelle grandi
calamità, nelle grandi tribolazioni della Cristianità, quando era più urgente
la necessità dell’aiuto di Dio, i fedeli, o spontaneamente o più spesso dietro
l’esempio e le esortazioni dei sacri Pastori, hanno sempre impugnato tutte e
due le validissime armi della vita spirituale: l’orazione e la penitenza.
Per quel sacro istinto da cui quasi inconsapevolmente si lascia
guidare il popolo cristiano, quando non è traviato dai seminatori di zizzania,
e che non è poi altro se non quel « senso di Cristo » [25] di cui parla
l’Apostolo, i fedeli hanno sempre sentito subito in tali casi il bisogno di
purificare le loro anime dal peccato con la contrizione del cuore, col
sacramento della riconciliazione, e di placare la divina Giustizia anche con
esterne opere di penitenza.
Sappiamo certo e con voi, Venerabili Fratelli, deploriamo che ai nostri
giorni l’idea e il nome di espiazione e di penitenza hanno perduto presso molti
la virtù di suscitare quegli slanci di cuore e quegli eroismi di sacrificio,
che in altri tempi sapevano infondere, presentandosi agli occhi degli uomini di
fede come sigillati di un carattere divino ad imitazione di Cristo e dei Santi
suoi; né mancano alcuni che vorrebbero mettere da parte le mortificazioni
esterne come cose di tempi passati; senza parlare poi del moderno « uomo
autonomo » che disprezza la penitenza come espressione di indole servile.
Ed è ovvio infatti che quanto più si affievolisce la fede in Dio, tanto più si
confonda e svanisca l’idea di un peccato originale e di una primitiva
ribellione dell’uomo contro Dio, e quindi ancor più si perda il concetto della
necessità della penitenza e dell’espiazione.
Ma noi invece, Venerabili Fratelli, dobbiamo per obbligo dell’ufficio
pastorale tenere in alto questi nomi e questi concetti, e conservarli nel loro
vero significato, nella loro genuina nobiltà e ancor più nella loro pratica e
necessaria applicazione alla vita cristiana.
A questo Ci spinge la stessa difesa di Dio e della Religione, che stiamo
propugnando, poiché la penitenza è di natura sua un riconoscimento e
ristabilimento dell’ordine morale nel mondo, che si fonda nella legge eterna,
cioè nel Dio vivente. Chi dà soddisfazione a Dio per il peccato, riconosce con
ciò stesso la santità dei supremi princìpi della moralità, la loro interna
forza di obbligazione, la necessità di una sanzione contro la loro violazione.
Ed è certo uno dei più pericolosi errori dell’età nostra l’aver preteso di
separare la moralità dalla religione, togliendo così ogni solida base a
qualunque legislazione. Questo errore intellettuale poteva forse passare inosservato
ed apparire meno pericoloso quando si limitava a pochi, e la fede in Dio era
ancora un patrimonio comune dell’umanità e tacitamente si presupponeva anche di
quelli che più non ne facevano aperta professione. Ma oggi, quando l’ateismo si
diffonde nelle masse popolari, le conseguenze pratiche di quell’errore
diventano terribilmente tangibili ed entrano nel mondo delle tristissime
realtà. Invece delle leggi morali, che svaniscono insieme con la perdita della
fede in Dio, si impone la forza violenta che conculca ogni diritto. L’antica fedeltà e correttezza
nell’agire e nel mutuo commercio, tanto decantate perfino dai retori e poeti
del paganesimo, ora cedono il posto a speculazioni senza coscienza, tanto nei
propri come negli affari altrui. E difatti come può
sostenersi un contratto qualsiasi, e quale valore può avere un trattato, se
manca ogni garanzia di coscienza? E come si può parlare di garanzia di
coscienza, dove è venuta meno ogni fede in Dio, ogni timor di Dio? Tolta questa
base, ogni legge morale cade con essa; e non vi è più nessun rimedio che possa
impedire la graduale ma inevitabile rovina dei popoli, delle famiglie, dello
Stato, della stessa umana civiltà.
La penitenza dunque è come un’arma salutare posta in mano dei prodi
soldati di Cristo, che vogliono combattere per la difesa e il ristabilimento
dell’ordine morale dell’universo. È un’arma che giunge proprio alla radice di tutti i
mali: alla concupiscenza, cioè, delle materiali ricchezze e dei dissoluti
piaceri della vita. Per mezzo di volontari
sacrifìci, per mezzo di rinunce pratiche, anche dolorose, per mezzo delle varie
opere di penitenza, il cristiano generoso reprime le basse passioni che tendono
a trascinarlo alla violazione dell’ordine morale. Ma se lo zelo della divina
legge e la carità fraterna sono in lui tanto grandi quanto devono esserlo,
allora non solo si dà all’esercizio della penitenza per sé e per i suoi
peccati, ma si addossa anche l’espiazione dei peccati altrui, ad imitazione dei
Santi che spesso eroicamente si facevano vittime di riparazione per i peccati
di intere generazioni; anzi ad imitazione del Redentore divino, che si è fatto
« Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo »[26].
Non c’è forse, Venerabili Fratelli, in questo spirito di penitenza anche
un dolce mistero di pace? «Non c’è pace per gli empi » [27], dice lo Spirito Santo,
perché vivono in continua lotta ed opposizione con l’ordine stabilito dalla
natura e dal suo Creatore. Solamente quando questo ordine verrà ristabilito,
quando tutti i popoli fedelmente e spontaneamente lo riconosceranno e lo
professeranno, quando le interne condizioni dei popoli e le esterne relazioni
con le altre nazioni si fonderanno sopra questa base, allora soltanto sarà
possibile una pace stabile sopra la terra. Ma non basteranno a creare quest’atmosfera di pace
duratura né i trattati di pace, né i patti più solenni, né i convegni o le
conferenze internazionali, né gli sforzi anche più nobili e disinteressati di
qualunque uomo di Stato, se prima non siano riconosciuti i sacri diritti della
legge naturale e divina. Nessun dirigente della economia pubblica, nessuna
forza organizzatrice potrà mai condurre le condizioni sociali a pacifica
soluzione, se prima nel campo stesso dell’economia non trionfi la legge morale
basata su Dio e sulla coscienza. Questo è il valore fondamentale di ogni
valore, tanto nella vita politica quanto in quella economica delle nazioni; questa
è la moneta più sicura, tenuta ben salda la quale, anche tutte le altre saranno
stabili, essendo garantite dall’immutabile ed eterna legge di Dio.
Ed anche ai singoli uomini la
penitenza è apportatrice di vera pace, distaccandoli dai beni terreni e caduchi
e sollevandoli ai beni eterni, donando loro anche in mezzo alle privazioni ed
alle avversità una pace che il mondo con tutte le sue ricchezze e i suoi
piaceri non può dare. Uno dei cantici più sereni e più lieti che mai si siano
uditi in questa valle di lacrime non è forse il celebre «Cantico del sole e
delle creature » di San Francesco? Ebbene, chi lo compose, chi lo scrisse,
chi lo cantò era uno dei più grandi penitenti, il Poverello di Assisi, che non
possedeva assolutamente nulla sulla terra e portava nel suo corpo estenuato le
dolorose stimmate del suo Signore Crocifisso.
La preghiera, dunque, e la
penitenza sono i due potenti spiriti che in questo tempo ci sono dati da Dio
perché riconduciamo a Lui la smarrita umanità che gira qua e là senza guida:
sono gli spiriti che devono dissipare e riparare la prima e principale causa di
ogni ribellione e di ogni rivoluzione, la ribellione cioè dell’uomo contro Dio.
Ma i popoli stessi sono chiamati a decidersi per una scelta definitiva: o essi
si affidano a questi benevoli e benèfici spiriti e si convertono, umili e
pentiti, al loro Signore e Padre delle misericordie, oppure abbandonano se
stessi e il poco che ancora resta di felicità sulla terra in balìa del nemico
di Dio, cioè allo spirito di vendetta e di distruzione.
Non Ci resta quindi altro che
invitare questo povero mondo che ha sparso tanto sangue, che ha aperto tanti
sepolcri, che ha distrutto tante opere, che ha privato di pane e di lavoro
tanti uomini, non Ci resta, diciamo, che invitarlo con le tenere parole della
sacra Liturgia: « Convèrtiti al Signore Dio tuo! ».
IV
E quale più opportuna occasione
possiamo Noi indicarvi, Venerabili Fratelli, per tale unione di preghiere e di
riparazioni, se non la prossima festa del Sacro Cuore di Gesù? Lo spirito
proprio di tale solennità — come abbiamo quattro anni or sono ampiamente
dimostrato nella Nostra Lettera Enciclica Miserentissimus — è appunto spirito di
amorosa riparazione, e perciò abbiamo voluto che in tal giorno ogni anno in
perpetuo si faccia, in tutte le chiese dell’orbe, pubblico atto di ammenda per
le tante offese che feriscono quel Cuore divino.
Sia dunque quest’anno la festa del Sacro Cuore per tutta la Chiesa una
santa gara di riparazione e di impetrazione. Accorrano numerosi i fedeli alla
mensa Eucaristica; accorrano ai piedi degli altari ad adorare il Salvatore del
mondo sotto i veli del Sacramento, che voi, Venerabili Fratelli, procurerete
sia in tal giorno solennemente esposto in tutte le chiese; effondano in quel
Cuore Misericordioso, che ha conosciuto tutte le pene del cuore umano, la piena
del loro dolore, la fermezza della loro fede, la fiducia della loro speranza,
l’ardore della loro carità. Lo preghino, interponendo anche il potente
patrocinio di Maria Santissima, Mediatrice di tutte le grazie, per sé e per le
loro famiglie, per la loro patria, per la Chiesa; lo preghino per il Vicario di
Cristo in terra e per gli altri Pastori, che con lui dividono il
formidabile peso del governo spirituale delle anime; lo preghino per i fratelli
credenti, per i fratelli erranti, per gl’increduli, per gl’infedeli; e infine
per gli stessi nemici di Dio e della Chiesa, affinché si convertano.
E questo spirito di preghiera e
di riparazione si mantenga poi intensamente vivo ed operoso in tutti i fedeli
anche per l’intera Ottava, del qual privilegio liturgico Noi abbiamo voluto
fosse insignita questa Festa. Durante tali giorni si facciano, nel modo che
ciascuno di voi, Venerabili Fratelli (secondo le circostanze locali) crederà
opportuno prescrivere o suggerire, pubbliche preghiere ed altri devoti esercizi
di pietà secondo le intenzioni da Noi brevemente sopra accennate: « al fine
di ottenere misericordia e trovare grazia per essere aiutati al momento
opportuno » [28].
Sia quella, davvero, per tutto il
popolo cristiano un’Ottava di riparazione e di santa mestizia; siano giorni di
mortificazione e di preghiera. Si astengano i fedeli dagli spettacoli e dai
divertimenti anche leciti; i più agiati sottraggano anche volontariamente, in
spirito di cristiana austerità, qualche cosa dalla sia pure moderata misura del
consueto modo di vita, largheggiando piuttosto coi poveri il frutto di tale
sottrazione, essendo anche l’elemosina un ottimo mezzo per soddisfare alla
divina Giustizia e attirare le divine misericordie. I poveri, e tutti coloro
che in questo tempo sono sotto la dura prova dello scarso lavoro e dello scarso
pane, offrano con eguale spirito di penitenza, con maggiore rassegnazione le
privazioni loro imposte dai tempi difficili e dalla condizione sociale che la
Divina Provvidenza, con imperscrutabile ma pur sempre amoroso disegno, ha loro
assegnato: accettino con animo umile e confidente dalla mano di Dio gli effetti
della povertà, resi più duri dalle strettezze in cui si dibatte attualmente
l’umanità; si elevino più generosamente fino alla divina sublimità della Croce
di Cristo, ripensando che, se il lavoro è tra i maggiori valori della vita, è
però stato l’amore di un Dio paziente quello che ha salvato il mondo; si
confortino nella certezza che i loro sacrifici e le loro pene, cristianamente
sopportati, concorreranno efficacemente ad affrettare l’ora della misericordia
e della pace.
Il Cuore divino di Gesù non potrà
non commuoversi alle preghiere ed ai sacrifici della sua Chiesa e finirà col
dire alla sua Sposa che geme ai suoi piedi sotto il peso di tante pene e di
tanti mali: «Grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri »[29].
Con questa fiducia, avvalorata
dal ricordo della Croce, sacro segno e prezioso strumento della nostra santa
redenzione, di cui oggi celebriamo la gloriosa Invenzione, a Voi, Venerabili
Fratelli, al vostro clero e popolo, a tutto l’orbe cattolico impartiamo con
paterno affetto l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
nella festa dell’Invenzione della Santa Croce, 3 maggio 1932, undecimo del
Nostro Pontificato.
PIUS PP.
XI
[12]
Act., IV, 32.
[15]
Matth., VII, 7-8.
[20]
II Cor., XIII, 11.
[29]
Matth., XV, 28.
© Copyright - Libreria Editrice Vaticana
Nenhum comentário:
Postar um comentário