LETTERA ENCICLICA
ACERBA ANIMI
AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
DEGLI STATI FEDERATI DEL MESSICO
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULLA PERSECUZIONE DELLA CHIESA
IN MESSICO.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
AI VENERABILI FRATELLI
ARCIVESCOVI E VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
DEGLI STATI FEDERATI DEL MESSICO
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULLA PERSECUZIONE DELLA CHIESA
IN MESSICO.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
La dolorosa ansietà per le
tristissime condizioni presenti di tutta la società umana non attenua la Nostra
particolare sollecitudine per i diletti figli della Nazione Messicana e
specialmente per voi, Venerabili Fratelli, tanto più meritevoli delle Nostre
premure paterne in quanto vi trovate da così lungo tempo vessati da gravissime
persecuzioni.
Già all’inizio del Nostro
Pontificato, seguendo l’esempio del venerato Nostro Predecessore, Ci adoperammo
con ogni sforzo per allontanare la temuta applicazione di quelle disposizioni
cosiddette « costituzionali » che la Santa Sede era stata più volte
costretta a condannare come gravemente lesive dei diritti più elementari e
inalienabili della Chiesa e dei fedeli; e a tale intento procurammo altresì che
un Nostro Rappresentante risiedesse in cotesta Repubblica.
Ma mentre altri Governi in questi
ultimi tempi gareggiavano nel riannodare accordi con la Santa Sede, quello del
Messico precludeva ogni via ad intese, anzi nel modo più inaspettato veniva
meno alle promesse poco prima fatte per iscritto, e bandiva ripetutamente i
Nostri Rappresentanti, mostrando con ciò quali fossero le sue intenzioni verso
la Chiesa. Così si giunse alla più rigorosa applicazione dell’art. 130 della « Costituzione
», contro la quale, perché estremamente ostile alla Chiesa, come risulta dalla
Nostra Enciclica « Iniquis afflictisque » del 18 novembre 1926,
la Santa Sede aveva dovuto protestare nel modo più solenne.
Furono quindi promulgate gravi
pene contro i trasgressori dell’articolo deplorato; e, con nuova offesa contro
la Gerarchia della Chiesa, si procurò che ogni Stato della Confederazione
determinasse il numero dei sacerdoti, ai quali sarebbe permesso l’esercizio del
sacro ministero sia in pubblico come in privato.
Di fronte a così ingiuste e
intolleranti ingiunzioni, che avrebbero assoggettato la Chiesa Messicana
all’arbitrio dello Stato e del Governo ostili alla religione cattolica, voi,
Venerabili Fratelli, deliberaste di sospendere il culto in pubblico; e nello
stesso tempo invitaste i fedeli a protestare efficacemente contro l’ingiusta
imposizione del Governo. Voi, per la vostra apostolica fermezza foste quasi
tutti espulsi dalla Repubblica, e doveste assistere dalla terra d’esilio alle
lotte e al martirio dei vostri sacerdoti e del vostro gregge; mentre quei
pochissimi di voi, che quasi miracolosamente poterono rimanere nascosti nelle
proprie diocesi, riuscirono di efficace incoraggiamento ai fedeli con il loro
nobilissimo esempio di invitta fermezza.
Di queste cose Noi già parlammo
in solenni allocuzioni, in pubblici discorsi e più diffusamente nella citata
Enciclica « Iniquis afflictisque », confortati dalla
grande ammirazione destata in tutto il mondo dal nobile coraggio dimostrato dal
clero nell’amministrare i Sacramenti ai fedeli, fra mille pericoli, anche della
stessa vita, e dal non minore eroismo di numerosi fedeli i quali, a costo di
inaudite sofferenze e incontrando ingenti danni, coadiuvarono volenterosamente
i loro sacerdoti.
Noi intanto non mancammo di
incoraggiare con parole e consigli la legittima cristiana resistenza dei sacerdoti
e dei fedeli, esortandoli a placare, con la penitenza e la preghiera, la
giustizia di Dio, affinché la Sua misericordiosa Provvidenza abbreviasse la
prova. In pari tempo invitammo ad unirsi alle Nostre preghiere per i fratelli
messicani i Nostri figli di tutto il mondo; i quali, con ardore ammirabile,
corrisposero pienamente al Nostro invito.
Né tralasciammo di ricorrere
altresì a quei mezzi umani, che erano a Nostra disposizione, per venire in
sollievo ai nostri diletti figli; e mentre lanciavamo un appello al mondo
cattolico, perché desse soccorso, anche con generose oblazioni, ai fratelli
messicani perseguitati, insistemmo presso i Governi, con i quali siamo in
relazioni diplomatiche, perché considerassero l’anormale e grave condizione di
tanti fedeli.
Di fronte alla ferma e generosa
resistenza degli oppressi, il Governo cominciò a far intendere in diversi modi
che non sarebbe stato alieno dal venire a intese, pur di uscire da una
condizione di cose ch’esso non poteva modificare in suo favore. A questo punto,
benché ammaestrati da una dolorosa esperienza a non fare affidamento su simili
promesse, dovemmo tuttavia domandarCi se fosse conveniente al bene delle anime
che si continuasse nella sospensione del culto in pubblico. Tale sospensione,
se era riuscita efficace protesta contro gli arbitrii del Governo, tuttavia,
ove si fosse ancora prolungata, avrebbe potuto portare gravi danni sia
all’ordinamento civile, sia a quello religioso. Quel che più conta, tale
sospensione, secondo gravissime notizie che Ci pervenivano da fonti varie ed
ineccepibili, portava serio nocumento per i fedeli; i quali, privati di molti
aiuti spirituali necessari alla vita cristiana, e non di rado costretti ad
omettere i propri doveri religiosi, correvano il rischio di rimanere prima
lontani, poi come avulsi dal sacerdozio, e quindi dalle sorgenti stesse della
vita soprannaturale. Si aggiunga che la prolungata assenza di quasi tutti i
Vescovi dalle loro Diocesi non poteva non essere causa di rilassamento della
disciplina ecclesiastica, specialmente in momenti di tanta tribolazione per la
Chiesa Messicana, quando cioè il clero ed i fedeli abbisognavano maggiormente
della guida di coloro « che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di
Dio » [1].
Quando perciò, nel 1929, il
Magistrato Supremo del Messico pubblicamente dichiarò che il Governo, con
l’applicazione delle note leggi, non intendeva distruggere « l’identità
della Chiesa » né misconoscere la Gerarchia Ecclesiastica, Noi, avendo
unicamente di mira la salute delle anime, credemmo opportuno di non lasciar
passare questa occasione, che sembrava offrire una possibilità di
riconoscimento dei diritti della Gerarchia. Quindi, vedendo tornare qualche
speranza di rimediare ai mali maggiori, e sembrando che venissero meno i
principali motivi che avevano indotto l’Episcopato a sospendere il culto in
pubblico, Ci domandammo se non fosse il caso di ordinarne la ripresa. Con ciò
non si intendeva certamente accettare le leggi messicane circa il culto, né
ritirare le proteste fatte contro le leggi medesime, e tanto meno desistere
dalla lotta contro di esse: si trattava soltanto, di fronte alle mutate
dichiarazioni del Governo, di abbandonare (prima che potesse tornar nocivo ai
fedeli) uno dei mezzi di resistenza, ricorrendo invece ad altri che fossero
ritenuti più opportuni.
Ma purtroppo, come tutti sanno,
ai Nostri desideri e voti non corrisposero la sospirata pace e l’auspicato
accomodamento. Si continuò invece a punire e ad imprigionare Vescovi, Sacerdoti
e fedeli, contro lo spirito col quale si era concluso il « modus vivendi
». Con somma afflizione vedemmo che non solo non si richiamarono dall’esilio
tutti i Vescovi, ma anzi qualche altro fu espulso oltre confine, senza neppure
l’apparenza di legalità; in alcune diocesi non si restituirono né chiese né
seminari, né episcòpi, né altri edifici sacri; nonostante le esplicite
promesse, furono abbandonati alle più crudeli vendette degli avversari
sacerdoti e laici che con fermezza avevano difeso la fede.
Inoltre, appena revocata la
sospensione del culto, si notò ben presto un inasprimento della campagna della
stampa contro il Clero, la Chiesa e contro Dio stesso; ed è risaputo come la
Santa Sede abbia dovuto riprovare e proscrivere una di tali pubblicazioni che,
per immoralità sacrilega e per l’aperto scopo di propaganda irreligiosa e
calunniatrice, aveva superato ogni misura.
A ciò si aggiunga che non solo
nelle scuole primarie è proibito per legge l’insegnamento religioso, ma non di
rado si tenta di spingere coloro che devono concorrere ad educare le future
generazioni, perché si facciano banditori di dottrine irreligiose e immorali,
costringendo così i genitori a gravi sacrifici per tutelare l’innocenza della
loro prole. A tale proposito, mentre benediciamo di cuore questi genitori
cristiani e tutti i buoni maestri che li coadiuvano, torniamo a raccomandare
caldamente a voi, Venerabili Fratelli, al clero secolare e regolare, a tutti i
fedeli, di seguire con ogni sforzo la questione scolastica e la formazione
della gioventù, specialmente di quella del popolo, più bisognosa perché
maggiormente esposta ai pericoli della propaganda atea, massonica e comunista;
persuadendovi che la vostra patria sarà quale voi la formerete nei vostri
giovani.
Ma un punto ancora più vitale della Chiesa si è cercato di colpire:
l’esistenza cioè del Clero e della Gerarchia cattolica, col tentativo di
eliminarla gradatamente dalla Repubblica. Così la Costituzione Messicana, come
abbiamo più volte deplorato, mentre proclama la libertà di pensiero e di
coscienza, prescrive, con la più manifesta contraddizione, che ogni Stato della
Repubblica Federale debba determinare il numero dei sacerdoti, ai quali si
permette l’esercizio del sacro ministero, non solo nelle pubbliche chiese, ma
persino tra le pareti domestiche. Tale enormità viene ancora aggravata dai modi
con cui si procede all’applicazione della legge.
Infatti, se la Costituzione vuole che si determini il numero dei
sacerdoti, dispone tuttavia che tale determinazione debba corrispondere alle
necessità religiose dei fedeli e del luogo; né prescrive che si debba in ciò
trascurare la Gerarchia ecclesiastica; come, del resto, fu esplicitamente
riconosciuto nelle dichiarazioni del « modus vivendi ». Orbene, nello
Stato di Michoacan, fu stabilito un sacerdote per ogni 33.000 fedeli; nello
Stato di Chihuahua, uno per ogni 45.000; nello Stato di Chiapas uno per ogni
60.000, mentre in quello di Vera Cruz dovrebbe esercitare il ministero un
solo sacerdote per ogni centomila abitanti. Ognuno vede se con
siffatte restrizioni sia possibile attendere all’amministrazione dei Sacramenti
a così numerosi fedeli, sparsi per lo più in uno sterminato territorio. Eppure
i persecutori, quasi pentiti di aver soverchiamente largheggiato, imposero
ulteriori limitazioni; e alcuni Governi ordinarono la chiusura di non pochi
Seminari, la confisca delle canoniche, e in altri luoghi determinarono altresì
i sacri templi e il territorio, dove soltanto sarebbe consentito al Sacerdote
approvato di esercitare il ministero.
Il fatto nondimeno che più manifestamente scopre l’intenzione di voler
distruggere la stessa Chiesa Cattolica, è l’esplicita dichiarazione, pubblicata
in alcuni Stati, che l’Autorità civile, nel concedere la licenza di esercizio,
non riconosce nessuna Gerarchia, esclude anzi positivamente dalla possibilità
di esercitare il ministero sacro tutti i Gerarchi, cioè i Vescovi e persino
coloro che avessero esercitato l’ufficio di Delegati Apostolici.
Abbiamo voluto brevemente riepilogare i punti principali della grave
condizione imposta alla Chiesa del Messico, perché quanti amano l’ordine e la
pace dei popoli, vedendo come una così inaudita persecuzione non sia molto
dissimile, specialmente in alcuni Stati, da quella scatenatasi nelle infelici
regioni della Russia, traggano, da questa iniqua coincidenza d’intenti, nuovo
ardore per arginare la fiumana sovvertitrice di ogni ordine sociale.
In pari tempo intendiamo dare una nuova prova a voi, Venerabili
Fratelli, e a tutti i diletti figli del Messico, della paterna sollecitudine
con la quale vi seguiamo nella vostra tribolazione: sollecitudine che Ci ispirò
le istruzioni impartitevi nel gennaio scorso per mezzo del Nostro Cardinale
Segretario di Stato, e comunicatevi poi dal Nostro Delegato apostolico.
Infatti, trattandosi di questioni strettamente connesse con la religione, è
senza dubbio Nostro dovere e Nostro diritto stabilire le ragioni e le norme,
alle quali tutti coloro che si gloriano del nome cattolico hanno l’obbligo di
ottemperare. E qui Ci preme ricordare come, dettando tali istruzioni, abbiamo
tenuto nella debita considerazione tutte le notizie e le indicazioni che Ci
venivano sia dai fedeli, sia dalla Gerarchia; e diciamo tutte, fino a quelle
che sembravano invocare il ritorno, come nel 1926, ad una norma di condotta più
severa con la totale sospensione del culto pubblico in tutta la Repubblica.
Pertanto, in merito alla pratica
da seguire, non essendo il numero dei sacerdoti ugualmente ristretto in ogni
Stato, né essendo ugualmente offesi i diritti della Gerarchia ecclesiastica, ne
consegue che, secondo la diversità dell’applicazione degli infausti decreti, debba
altresì essere diverso l’atteggiamento della Chiesa e dei Cattolici. A questo
proposito Ci sembra giusto tributare speciali lodi a quei Vescovi Messicani
che, secondo le notizie pervenuteCi, hanno sapientemente interpretato le
istruzioni che abbiamo ripetutamente inculcato. E ciò vogliamo dichiarare,
perché se taluno, spinto più dall’ardore della difesa della propria fede che
non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati, dal
diverso modo di agire nelle diverse circostanze, avesse supposto nei Vescovi
intendimenti contraddittori, si persuada ora che tale accusa è del tutto
infondata. Tuttavia, poiché qualsivoglia restrizione del numero dei sacerdoti è
pur sempre una grave violazione dei diritti divini, occorrerà che i Vescovi, il
clero e gli stessi cattolici continuino a protestate con ogni loro energia
contro tale violazione, usando di tutti i mezzi legittimi; anche se queste
proteste non avranno efficacia sugli uomini del Governo, varranno a persuadere
i fedeli, e specialmente i meno istruiti, che lo Stato, così operando, offende
le libertà della Chiesa, alle quali questa non potrà mai rinunciare, nemmeno
innanzi alla violenza dei persecutori.
Quindi, come con grande
soddisfazione abbiamo letto le diverse proteste recentemente sollevate dai
Vescovi e dai Sacerdoti delle diocesi colpite dalle deplorate disposizioni
governative, così Noi stessi torniamo ad aggiungervi le Nostre al cospetto del
mondo intero, ed in modo particolare innanzi ai Governi di tutte le Nazioni,
affinché considerino che la persecuzione del Messico, oltre che offesa a Dio,
alla sua Chiesa e alla coscienza di una popolazione cattolica, è anche un
incentivo al sovvertimento sociale, a cui mirano le associazioni dei negatori
di Dio.
Intanto, allo scopo di porre qualche
rimedio alle calamitose circostanze che affliggono la Chiesa nel Messico,
dobbiamo valerCi di quei mezzi che ancora restano in Nostra mano, perché,
conservandosi in ogni luogo, per quanto si può, l’esercizio del culto divino in
pubblico, la luce della fede e il sacro fuoco della carità non restino estinti
in quelle povere popolazioni. Sono inique certamente le leggi, sono empie, come
abbiamo già detto, e condannate da Dio, per tutto quello che perfidamente ed
empiamente sottraggono ai diritti di Dio e della Chiesa nel governo delle
anime; tuttavia sarebbe senza dubbio mosso da vano e infondato timore colui che
credesse di cooperare alle inique disposizioni legislative qualora, subendone
la vessazione, domandasse al Governo, che ciò impone, di potere esercitare il
culto; e quindi ritenesse esser proprio dovere astenersi assolutamente da
simile richiesta. Tale erronea opinione e tale condotta, portando ad una totale
sospensione del culto, arrecherebbero senza dubbio un grandissimo danno a tutto
il gregge dei fedeli.
È da osservare, infatti, che
approvare tale iniqua legge o dare ad essa spontaneamente una vera e propria
cooperazione, è senza dubbio illecito e sacrilego; ma è assolutamente diverso
il caso di chi soggiace a tali ingiuste prescrizioni soltanto contro la propria
volontà e protesta; anzi fa di tutto, da parte propria, per diminuire i
disastrosi effetti dell’infausta legge. Infatti il sacerdote si trova costretto
a chiedere quel permesso senza il quale gli sarebbe impossibile esercitare il
sacro ministero per il bene delle anime; tale imposizione egli forzatamente
subisce soltanto per evitare un male maggiore. La sua condotta quindi non è
molto differente da quella di colui, il quale, essendo spogliato delle sue
cose, si vede costretto a domandare all’ingiusto spogliatore che gli consenta
almeno l’uso di esse.
Ed invero, il pericolo di
una « formale cooperazione », anzi di una qualsivoglia approvazione
della citata legge, viene, in quanto è necessario, rimosso dalle proteste
anzidette, energicamente espresse da questa Sede Apostolica, da tutto
l’Episcopato e dal Popolo Messicano. A queste poi si aggiungono le cautele del
sacerdote stesso, il quale, benché già canonicamente istituito al sacro
ministero dal proprio Vescovo, è costretto a chiedere al Governo la possibilità
di esercitare il culto, e ben lungi dall’approvare la legge, che ingiustamente
impone tale richiesta, vi si assoggetta materialmente — come suol dirsi
— soltanto per eliminare un ostacolo all’esercizio del sacro ministero:
ostacolo che condurrebbe, come si è detto, alla totale cessazione del culto e
quindi a un danno estremo per tante anime.
In modo non molto dissimile i
primi fedeli e i sacri ministri, come è riferito dalla storia, chiedevano,
offrendo anche qualche compenso, il permesso di visitare e confortare i martiri
detenuti nelle carceri e di amministrare i Sacramenti, senza che alcuno avesse
mai potuto pensare che essi, con ciò, in qualche modo approvassero o
condividessero la condotta dei persecutori.
Tale è, certa e sicura, la
dottrina della Chiesa; se però l’attuazione di essa riuscisse di scandalo ad
alcuni fedeli, sarà vostro dovere, Venerabili Fratelli, illuminarli
accuratamente e diligentemente. Se poi, anche dopo che voi avrete fatto questa
opera di chiarimento e di persuasione, esponendo questa Nostra direttiva,
qualcuno rimarrà ostinatamente nella propria falsa opinione, sappia che in tal
modo difficilmente può sfuggire alla taccia di disubbidiente e di ostinato.
Continuino dunque tutti in quella
unità di intenti e di ubbidienza, già altra volta da Noi ampiamente e con viva
soddisfazione lodata nel clero; e rimosse le incertezze e i timori, spiegabili
nei primi momenti della persecuzione, i sacerdoti, con il già provato spirito
di abnegazione, rendano sempre più intenso il loro sacro ministero,
particolarmente fra la gioventù e il popolo, procurando di far opera di
persuasione e di carità, soprattutto fra gli avversari della Chiesa, che la
combattono perché la ignorano.
A tale proposito nuovamente
raccomandiamo un punto che Ci sta grandemente a cuore; la necessità cioè di
istituire e di dare sempre maggiore incremento all’Azione Cattolica [2],
secondo le direttive impartite, per Nostro mandato, dal Nostro Delegato
apostolico; lavoro, questo, senza dubbio difficile negli inizi e specialmente
nelle presenti circostanze, lavoro talora lento nel produrre i desiderati
effetti, ma necessario e ben più efficace di qualsiasi altro mezzo, come
dimostra l’esperienza di tutte le Nazioni, passate esse pure attraverso la
prova delle persecuzioni religiose.
Ai Nostri diletti figli messicani
raccomandiamo di tutto cuore l’unione più intima con la Chiesa e la sua
Gerarchia, da prestare con la docilità agli insegnamenti e alle direttive di
essa. Non tralascino occasione di ricorrere ai Sacramenti, fonti di grazia e di
virtù; s’istruiscano nelle verità religiose; implorino da Dio misericordia per
la loro sventurata Nazione e sentano l’obbligo e l’onore di cooperare
all’apostolato sacerdotale nelle file dell’Azione Cattolica.
Un elogio tutto particolare
vogliamo tributare a coloro che, sia del clero secolare e regolare, sia del
laicato cattolico, mossi da ardente zelo della religione e mantenendosi del
tutto obbedienti a questa Sede Apostolica, hanno scritto pagine gloriose nella
recente storia della Chiesa del Messico; in pari tempo li esortiamo vivamente
nel Signore a voler continuare a difendere i sacrosanti diritti della Chiesa,
con quella generosa abnegazione di cui hanno dato sì nobili esempi e secondo le
norme da questa Sede Apostolica loro indicate.
Ma non possiamo terminare questa
Enciclica senza volgerCi particolarmente a voi, Venerabili Fratelli, fedeli
interpreti del Nostro pensiero, per dirvi che Ci sentiamo tanto più
strettamente uniti a voi, quanto maggiori sono le pene che incontrate nel
vostro apostolico ministero; sicuri che sapendovi vicini al cuore del Vicario
di Gesù Cristo, ne proverete conforto ed incitamento a perseverare nella santa
ed ardua impresa di condurre a salvamento il gregge affidatovi. Ed affinché la
grazia di Dio sempre vi assista e la Sua Misericordia vi sorregga, con ogni
paterno affetto a voi e ai diletti figli, così duramente provati, impartiamo
l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro,
il 29 settembre, dedicazione di San Michele Arcangelo, dell’anno 1932, undecimo
del Nostro Pontificato.
PIUS PP.
XI
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